Per il servizio Accoglienza occorrevano 150 hostess (poi salite a 180), che parlassero almeno 2 lingue estere, avessero una buona cultura generale, maniere educate e cordiali, e fossero di “bella presenza” nel significato acqua e sapone che si dava allora a quel termine: il regolamento prevedeva 1000 lire di multa se il trucco era troppo marcato! (Chirurgia estetica e botulino non erano nemmeno pensabili).
Il loro compito era di accogliere e accompagnare gli ospiti, a cominciare dai giornalisti nelle conferenze stampa precedenti l’inaugurazione, e fornire indicazioni e assistenza ai visitatori.
Il sindaco Peyron le definì “le gentili ambasciatrici di Italia 61”, i giornali ne parlarono con simpatia e buona parte della gioventù maschile torinese le considerò un po’ mitiche (e irraggiungibili, sempre a termini di regolamento!)
Le poche scuole di lingue di allora mandarono le loro neo-diplomate, a cui si aggiunsero figlie e mogli di funzionari e manager stranieri di stanza a Torino, più un numero inaspettato di altre ragazze: le aspiranti idonee risultarono più di 500.
Si fece quindi una selezione mediante prove attitudinali scritte e orali piuttosto severe; poi le 150 selezionate seguirono un corso di formazione di 6 settimane, tenuto da “Madame Herrera”, una signora peruviana che parlava una decina di lingue e aveva esperienza di relazioni pubbliche a livello internazionale.
Oltre ad imparare tutto ciò che vi era da sapere sulle manifestazioni in sé, si approfondivano le conoscenze su Torino e dintorni dal punto di vista storico e turistico; inoltre si perfezionavano il portamento, la dizione e le belle maniere.
Alcune vennero assegnate agli stand delle aziende e delle nazioni presenti al Palazzo del Lavoro; altre vennero poi inviate ai valichi di confine per segnalare le Manifestazioni agli stranieri che entravano in Italia; altre ancora parteciparono alla carovana pubblicitaria che percorse tutta la penisola.
Per la divisa, ci avevano preso le misure una ad una compreso il numero di scarpe. Quando arrivò e la indossai per la prima volta, fu un’emozione per me e per mia madre che mi guardava nello specchio: sembravo diversa, più grande, più seria… (avevo 19 anni).
C’era un doppio esemplare di tutto: giacca, gonna, bustina, camicetta azzurra, cravatta blu, spille da appuntare sulla bustina e sulla giacca, borsa e scarpe blu, e bandierine delle lingue parlate, da cucire sulla manica sinistra. Io potevo metterne solo due, francese e inglese, e consideravo con reverenza le poche ragazze che ne avevano di più, magari il polacco o (sensazionale) il russo!
Ma la divisa non c’era ancora quando Madame Herrera ci teneva il corso di formazione, in un Aprile di un caldo estivo (invece poi a Maggio, quando Italia'61 cominciò davvero, pioggia e freddo). La lezione si apriva con la camminata di ciascuna ragazza dal fondo dell’aula fino alla cattedra. Qui si doveva fare una perfetta riverenza di corte “perché ad ognuna potrebbe capitare di essere assegnata alla Regina Elisabetta il giorno in cui verrà in visita. Schiena dritta, signorina, piegare solo le ginocchia... Un piede più indietro e un ginocchio dentro l’altro... con grazia... ancora una volta per favore”. E poi le prove: “Prego, lei immagina di accompagnare un gruppo di turisti olandesi ai padiglioni delle Regioni... in inglese per favore... No, straniero non si dice stranger, si dice foreigner”.
E finalmente l’inaugurazione, cerimonie su cerimonie, alte uniformi, pennacchi, bande, corpi speciali a cavallo... Cose che forse per Roma sono normali, ma per la Torino del dopoguerra sono straordinarie.
Parte l’inno nazionale con il pa-parapapa-pa introduttivo. Generali e colonnelli in tribuna lo riconoscono subito e scattano in piedi. I signori in fumo di Londra e le signore col cappello si guardano perplessi. Finalmente si sente il “Fratelli d’Italia”, allora si alzano tutti, strisciando contro gli schienali per far credere che erano già in piedi da prima (noi hostess eravamo in piedi comunque).
Conferenza stampa nel salone del Consiglio Comunale. L’inviata dell’Observer fa una domanda imbarazzante: perché invece di investire tanti soldi in questo evento non si provvede alla “dramatic poverty of southern Italy?” Nell’antico e sontuoso salone non c’è traduzione simultanea, la risposta verrà fornita in seguito.
Poi tutti in visita al quartiere espositivo.
Gianni Agnelli quarantenne, con un’esile moglie che sembra venire un po’ dalla luna, si fa fotografare nel padiglione russo e genera scandalo nell’establishment democristiano perché accetta e indossa una spilla con falce e martello (poi verrà creata Togliattigrad).
La famosa Regina Elisabetta un giorno effettivamente arriva, ma passa come un fulmine e tutte quelle riverenze sono sprecate!
Una sera tardi passa anche Walt Disney con i suoi baffoni. Nell’attesa della chiusura io sto leggendo un cartoon. Paperino? No, Tom e Jerry, dei suoi concorrenti Hanna & Barbera! Non riesco a nasconderlo, lui lo guarda, ride e se ne va. Niente autografo...